THE DAY AFTER THE FIFTH – Daniele De Luigi
Gran parte della ricerca recente della giovane artista Federica Cogo è focalizzata sul rapporto tra l’uomo e l’animale. Tra i vari tratti schizofrenici che caratterizzano la società contemporanea, questo è senza dubbio uno dei più evidenti […]. Senza il minimo senso di contraddizione, come fa notare l’esperta di bioetica animale Barbara De Mori, facciamo coesistere le macellazioni e gli xenotrapianti con le pet theraphy e i centri benessere per gli animi a quattro zampe. E’ quella che Paul Taylor ha chiamato l’era della biocultura, in cui l’animale viene utilizzato dall’uomo per i suoi scopi, che in alcuni casi comportano affezione e cura, in altri prevedono la sofferenza e la morte, ma sempre dal nostro punto di vista e applicando gerarchie del tutto soggettive. il nodo problematico è l’incapacità dell’uomo di concepire l’animale come essere senziente con i suoi specifici bisogni, e di interrogarsi sulle proprie responsabilità nell’esercizio unilaterale della propria superiorità. Federica Cogo affronta esattamente questo nodo, e lo fa con un lavoro sottile e raffinato che fa emergere, dalla stanza buia e insonorizzata in cui viene tenuta nascosta dalla società dei consumi, tutta la crudeltà di cui siamo capaci. Il suo lavoro muove da immagini preesistenti, siano esse illustrazioni da manuale oppure video vernacolari presenti in rete, Gli artisti hanno iniziato da tempo a fare i conti con l’accumulo di immagini che caratterizza il mondo contemporaneo, sentendo la necessità di interrogarlo per capire, attraverso riflessioni visive, in che modo esse costruiscono il nostro modo di pensare. La dialettica che ne esce, caratteristica dell’agire artistico contemporaneo, è tra la conservazione dei modelli di giudizio, l’imbalsamazione della memoria, la preservazione degli stereotipi propagate dalla maggior parte delle immagini, e il tentativo di scardinare il sistema del significato alterando la percezione delle immagini e rivelandone i meccanismi. FedericaCogo edulcora fredde illustrazioni tecniche, tratti da libri di biotecnica, e ce le rende piacevolmente decorative; oppure, trovati dei video in cui l’uomo perpetra ad animali inutili sofferenze, utilizza una paziente tecnica di traduzione del filmato in animazione al tratto – ma mantenendo il sonoro originale – per conferirgli un aspetto ludico, apparentemente innocente. In tal modo, ci induce a guardare con attenzione immagini che ci lascerebbero indifferenti per la loro banalità, o che al contrario respingeremmo con senso di fastidio o ribrezzo. Il suo scopo è di palesare il lato oscuro dell’antropomorfizzazione dell’animale: la sua reificazione. Interrogarsi su questo processo, che ha attraversato la storia della civiltà occidentale da Aristotele, a San Tommaso d’Aquino, a Cartesio, significa in realtà interrogarsi sull’uomo: su chi siamo e sulla nostra immagine, sulla nostra specie e sul presunto “insuperabile confine” (Jeremy Bentham) che ci separa dalle altre. Perchè come ha scritto Milan Kundera, “il vero esame morale dell’umanità, l’esame fondamentale, è il rapporto con coloro che sono alla sua mercé: gli animali. E qui sta il fondamentale fallimento dell’uomo, tanto fondamentale che da esso derivano tutti gli altri”.
The biggest part of the most recent research of the young artist Federica Cogo is focused on the relationship between man and animal. Among the many schizophrenic lines that characterized contemporary society, this is, without doubting, one of the most clear one.. (..) without any slight sense of contradiction, as the animal bioethic expert Barbara De Mori underlines, we let the slanghter and xeon-transplants live side by side with the pet therapy and Spa centers for four-legend souls. This is what Paul Taylor called “bicultural era”, in which the animal is used by the man for his own reasons, in some cases it’s about caring affection, and other time is about suffering and death, but always from our point of view, applying our own subjective hierarchy. The problem center is the incapability of the man to see the animal as willing being with its own needs, and question himself about his own responsibilities of his superiority. Federica Cogo faces exactly his point, and she does so with a slim and refined work that let emerge, from a dark and soundproofed room in which it hidden from consumer society, all the cruelty that we are capable of. Her work goes pre-existing images, may them be book illustrations or vernacular videos on the web. Artist have been starting to deal with the amount of images that characterized the contemporary world, feeling the necessity to question it to comprehend, through visual reflexions, in which way they build our way to thinking. The dialectical way that comes out, characteristic of the contemporary artistic way of behaving, is in the conservation of judgment models, the stuff of memory, the preservation of stereotypes spread from the majority of image, and by the attempt to invalidate the meaning system changing the perception of images and revealing the mechanisms. Federica Cogo softens cold technical illustrations, taken from biotechnical books, and transforms them in delightfully decorative images; or, finding videos in which the man inflicts useless sufferings to animals, she uses a patient technique of translation of the video in a lined animation – but keeping the original sound – to give it a playful aspect, apparently innocent. In this way, she leads us to attentively give a look to images that would leave us indifferent for their banality, or, on the contrary, we would refuse with a disgusted or bothered feeling. Her aim is to make clear the dark side of the anthropomorphism of the animal: make it real. Questioning herself on this process, going through western civil history from Aristotle, to St. Thomas Aquinas, to Descartes, it actually means asking ourselves about mankind: about who we are and our images, about our species and the alleged “impassable border” (Jeremy Bentham) that separates ur from the other. Because, as Milan Kundera wrote, “the real moral exam of humanity, the fundamental exam, it’s the relationship with whom are at their service: the animals.” And here lies the fundamental failure of the man, that much fundamental that form it, all the others are deriving.
YOU HUMAN – Cristina Trivellin
Federica Cogo mette in atto un’indagine del tutto personale: oggetto della sua ricerca è l’umanità calata nel contesto naturale, sociale, ecologico. Equilibri, o meglio, squilibri, che l’artista sa mettere in luce senza retorica né denunce, ma anzi in modo garbato prende una posizione che è all’unisono etica ed estetica. Un garbo dall’effetto dirompente, che non rinuncia alla forza del messaggio, ma produce immagini, foto, video, dipinti “reali” e non “realistici”. Aspetto centrale della poetica di Cogo è proprio il rapporto dell’umano con il non umano: rapporto che in realtà fa emergere una certa “disumanità” nell’incapacità di empatizzare con gli animali, esseri senzienti, sfruttati e violentati nel loro basilare diritto di esistere per fini utilitaristici alias economici. Un discorso certamente antispecista, che si allontana però da postulati e teorie filosofiche per entrare direttamente in medias res, esprimendosi per immagini spesso velate da una sottile patina ludica e ironica; quel tanto che basta per farci “digerire” l’amara verità. Con la serie Ritratti industriali Federica Cogo, dimostrando ammirevole sintesi, arriva dritta al punto: il maialino in miniatura campeggia sopra una montagna di pancetta, la gallina sovrasta le uova, la mucca è immersa nel latte. Il perturbante sta proprio nell’apparente giocosità del linguaggio, ma appena sottopelle si sente scorrere un brivido che ognuno può percepire in base alla propria sensibilità. La stessa dinamica straniante si ritrova in Sweet Home, immagini nelle quali deliziose casette giocattolo dai colori pastello paiono annegare in un mare di latte. Il liquido bianco, da sempre simbolo di vita, di maternità e di valori rappresenta qui il naufragio, la caduta, quella che la Cogo definisce un’implosione di senso. Untitled è una serie composta da quattro video, interessanti per forma e contenuto. L’artista parte da video postati su YouTube e li ridisegna, fotogramma dopo fotogramma. Illuminante la sua dichiarazione:”per parlare della realtà non posso manipolarla.” Ed ecco il video Untitled#1: alcuni ragazzi si divertono a torturare una formica con l’accendino. Il sonoro resta originale, il video si trasforma in un corto d’animazione apparentemente innocente e poi, in un crescendo sempre più disturbante, le immagini mettono in luce il cortocircuito che ha spezzato il legame di unicità, di sacralità originarie. L’umanità ha via via dimenticato il senso di appartenenza al cosmo, alla natura, divenendone uno schizofrenico e inadeguato abitante. Non dimenticando la propria formazione accademica Federica si misura anche con linguaggi più classici, come la serie di acrilici e olii su tela per i quai prende spunto da illustrazioni tratte da libri scienze veterinarie. Elementi estranei come la carta da parati nello sfondo, titoli presi dalla storia dell’arte, colori delicati, stravolgono completamente l’iconografia iniziale, che viene rispettata. Il risultato è dirompente e scatena una serie di domande alle quali non è l’artista a volere o dovere rispondere, non ritenendo sia il suo ruolo. Questa assenza di moralismi didascalici fanno di Cogo un’artista totalmente calata nel sentire e nel procedere contemporaneo, dove, se c’è una qualche consapevolezza o una coscienza più estesa, può essere espressa solo edulcorando, nascondendo, procedendo per paradossi. L’arte non risolve, non risponde, l’arte dà forma e colore alle domande, facendocele desiderare, magari appese a una parete, in attesa che ci rispondano.
Federica Cogo stars a personal investigation: the research object is the human being in the natural, social and ecological context. Balances, or better, imbalances, that the artist can highlights without any condemnation, but instead in a kind way she takes a position in the aesthetic and ethic view. A courtesy with a clashing effect, that doesn’t takes out the power of the message, but produces “real”images, videos and painting, and not just “realistic”. The main aspect of the Cogo poetical view is the relationship of the human with the non-human: a relationship i which, actually, the reality lets the “inhumanity”comes out in the incapacity of empathize with animals, willful beings, abused and harassed in their basic right to exist, for useful aims, alias, economic. A speech totally against specie, that goes throughway from philosophical theories to enter directly in media res, expressing with images often veiled with a light playful and ironic cover; that necessary amount to let us “digest”the bitter truth. With the series Industrial Portraits, Federica Cogo shows a wonderful synthesis, and goes straight to the point: a little miniature pig dominates a bacon mountain, the hen dominates the eggs, the cow is submerged in milk. The controversial thing is exactly in the apparent language playfulness, while just underneath the skin you can feel the shiver based on your sensibility. The same weird dynamic is found in Sweet Home, images in which sweet dolls houses with pastel colors are drowning in a milk sea. The white liquid, life, maternity and values symbol since ever before, represent the wreck, the fall, what Cogo defines an implosion of senses. Untitled is a series formed of 4 videos, interesting for their content and form. The artist takes video posted on youtube and draw them over, frame after frame. Here statement is eye opening: “to talk about the truth, I cannot manipulate it”. And here comes video Untitled #1: some boys are having fun in setting fire to an ant. The sound stays original, the video becomes a short animation one apparently innocent and then, in a disturbing growing, the images highlight the short-circuit that breaks the uniqueness, originally sacred bond. Humanity has, step by step, forgot the feeling of belonging to the cosmos, to nature, becoming a schizophrenic and inadequate inhabitant. Not forgetting her own academic path, Federica Cogo challenges herself also with more traditional languages, as the acrylic and oil on canvas series, for which she takes inspiration from illustration on veterinary science books. Extraneous elements, such as the wall paper in the background, titles taken from art history, delicate colors, they twist totally the starting iconography, that is respected. The result is explosive, it unleashes a number of questions to which the artist isn’t meant or isn’t willing to answer, knowing isn’t her role. This absence of didactic morals make Cogo a completely focused artist in the feeling and a contemporary moving forward, where to, if there is some kind of consciousness or a wider one, it might be expressed only by hiding, sugarcoating, going forward through paradoxes. The artist doesn’t solve, doesn’t answer, the art itself gives to question a shape and color, making them desire, maybe hanged to a wall, waiting for them to answer.
DOMESTIC LANDSCAPE – Katia Olivieri
L’arte di Cogo lascia spazio alla rappresentazione della fragilità emotiva. Nelle lastre di plexiglass e nelle tavole emerge non la ricerca di eccessi spettacolari, quanto piuttosto la necessità di esprimersi in maniera apparentemente “oggettiva”, distaccata, quasi da progettista, per lasciare che siano l’occhio e la mente a cogliere quei dettagli che fanno di un progetto un’opera significante. Gli oggetti su cui si concentra sono quasi sempre letti o tavoli e, non a caso, poiché sono i fondamentali attorno ai quali si strutturano le relazioni famigliari e sociali. Con uno stile essenziale ma rigoroso, Cogo mette in sequenza i suoi dipinti e le sue sculture come se fossero frame da video, mettendo in scena un ritratto dell’identità collettiva e rappresentando gli oggetti che costituiscono il corredo che accompagna l’uomo dalla vita alla morte, perché è vero che le cose sono identità e memoria – che Dorfles definiva oggettuale – ma rimangono sempre intrinsecamente connesse agli uomini, alla loro cultura, al loro sentire e agire. Cambiano le definizioni, cambiano le tassonomie. Un tavolo non è più solo un tavolo, ma un luogo di scontro, un ring, spazio dell’incomunicabilità, luogo di assenza. Così come un letto non è solo un letto ma un luogo di lotta, di violenza, di inganni, di amore, di morte. Gli oggetti, ci ricorda l’artista, sono creati dall’uomo perché possano prendere coscienza di sé: sono “pellicola che si materializza nel punto di contatto tra l’ambiente interno e l’esterno” (L.Gournhan). Essi raccontano storie, condensano riferimenti culturali, conservano un vocabolario di parole nella materia di cui sono costituiti e probabilmente solo in prima e/o ultima istanza non rappresentano altro che se stessi, senz’altra qualità che essere comunque utili. Nel percorso espositivo che si snoda dalle sale Museo cavoli – dove due tavoli su una passerella ci invitano a interagire e relazionarci con essi – per arrivare negli spazi della galleria, Federica Cogo dissemina universi che sembrano appena accennati, lasciando che siano i suoi “imperfetti complementi di arredo e design” a guidare nella costruzione non dell’immagine ma del senso dei legami affettivi, spesso inafferrabili e inspiegabili, che si sedimentano nella memoria degli oggetti che ci appartengono, oltre che a ricostruire una visione armonica e organica del suo linguaggio.
DOCTRINA AMORIS – Katia Olivieri
[….] La dimensione del racconto intimo è la componente fondamentale del lavoro della giovane artista, che dal 2006 conduce un progetto complesso sugli spazi del vivere domestico e le loro distopie, creando un gioco di ruoli in cui ogni persona coinvolta sperimenta limiti e condizionamenti, dando spazio a nuovi racconti personali. Una narrazione che trova forma attraverso l’apparente illogicità della sovrapposizione di scene e punti di vista, senza finzioni né forzature, senza tutti gli orpelli che naturalmente associamo all’amore, alla difficoltà delle relazioni e al dolore della loro fine. Così accade nella serie dei tavoli – già presentata per Domestic Landscape (2016, Museo Cavoti e Ars and Art Gallery, Galatina) –, che tutto hanno perso della loro funzione domestica per assumerne una installativa/performativa, con uno sviluppo ulteriore nella trasposizione/rappresentazione del suo talamo vuoto nella serie dei materassi: posati per terra, sono nudi testimoni di una scena che lo spettatore dovrà ricostruire attraverso dettagli da decifrare e, in una serie di indizi fuorvianti, percepire i segni evidenti di un passato prossimo, un incontro, uno scontro, un amore che c’è stato e che non c’è più, potenzialmente tracce di qualcosa di già avvenuto o indicazioni circa qualcosa che accadrà in futuro. È proprio questo atto di sottrazione, questo mancato disvelamento di una narrazione unificante, a dare la possibilità di sperimentare più reazioni: letti e tavoli sono essi stessi elementi che vivono, proprio come suggerirebbe la celebre formula del matematico, in stretta relazione con una condizione di incertezza e possibilità, non tanto riferibile ad una condizione psicologica quanto alla loro condizione di agenti che impediscono che il tutto abbia una forma determinata e definita, ed in cui, al contrario, la ripetizione delle forme – nelle tavole, nei disegni, nelle sculture – è pratica paziente e necessaria affinché l’inaspettato possa accadere. In maniera evocativa e coerente con il suo linguaggio l’artista, confermando una pratica che considera l’arte come mezzo d’indagine di sé, riesce a veicolare con leggerezza metafore sentimentali ed esistenziali dell’uomo di oggi.